L'ora di ricevimento Al Teatro Parenti fino al 29 ottobre
di Massimiliano Forgione - 23/10/2017
Fabrizio Bentivoglio si conferma uno dei nostri attori più lucidi, capaci, sensibili. Sul palco, nel monologo e nell'interazione, spiccano le sue doti di artista ispirato tanto dalla tradizione quanto dalla modernità, capace di calarsi in un tema attuale con la dignità della migliore scuola teatrale europea.
L'ora di ricevimento è l'occasione per tornare, dopo tanto cinema e un lavoro da palcoscenico a fianco di Sergio Rubini, al teatro a tutto tondo. Due ore e venti minuti di recitazione piena, incalzante, priva di pause, senza alcuna sbavatura: perfetti i tempi, puntuali le battute, precise le movenze. Misurate e coordinate quelle dell'attore protagonista che alla sapienza della parte aggiunge il suo movimento elegante e ben calibrato.
Il regista Michele Placido affronta un tema fin troppo caldo nella realtà delle scuole di periferia francese, non ancora cogente in quello delle scuole nostrane.
L'esigenza, evidentemente, è da ricercare in quello sguardo da sempre attento di una buona scuola attoriale italiana formatasi negli anni settanta, pronta e ancora vogliosa di cogliere le ragioni dei cambiamenti sociali venturi o di là a venire in un tempo indeterminato ma inevitabile.
L'analisi quale rappresentazione della possibilità di comprendere fenomeni, in questo caso ci porta le arditezze di un testo con il quale la classe insegnante di questo Paese dovrà, volente o nolente, familiarizzare.
Parlavamo di scuola di periferia francese, per antonomasia quel crogiolo accogliente di differenze multietniche inconciliabili fra loro se non nella forzata convivenza. Diversità rese veri e propri muri ornati di offendicula quando la incomunicabilità si veste di credenze, superstizioni, asprezze, ortodossie. Realtà ormai radicata e immutabile in Francia perché di terza, quarta generazione. In Italia, di là a venire, sarà divertente vedere come il nostro insegnante, molte volte più radicato di un fondamentalista islamico, reagirà alle istanze incomprensibili e difficilmente gestibili dei genitori dei tanti stranieri che già popolano le nostre scuole.
Ebbene, sembrerebbe proprio questa la motivazione del regista, dell'attore principale e di Stefano Massini che cura l'adattamento teatrale del testo, un monito e nello stesso tempo una provocazione rispetto all'inevitabile.
Il professore di francese Ardeche ha l'aria troppo navigata per scomporsi di fronte alle intemperanze degli studenti, alle inadeguatezze dei colleghi, alle stramberie dei genitori. Ma non abbastanza per sorprendersi inadeguato e sconfitto alla fine come all'inizio di ogni anno scolastico.
Tratto comune, quello dell'insufficienza, a qualsiasi sistema educativo, evidentemente, ma al di là di come si possa essere più o meno strutturati per affrontare la sorte, conoscendo la nostra classe insegnante, viene spontaneo chiedersi di quali strumenti personali è dotata per far fronte dignitosamente alla richiesta multiculturale.
Lo svilimento è dietro l'angolo e banalizzare non servirà a molto. Le smorfie di Fabrizio Bentivoglio esprimono benissimo questa eterna impreparazione rispetto all'imponderabile e la maschera della sicurezza è solo l'ultimo baluardo prima di soccombere.
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